Bye bye Tblisi. Ci siamo fermati poco in Georgia e siamo pronti per la prossima destinazione: Baku, Azerbaigian. Partiamo a mezzogiorno, 600 chilomeitri da fare, orario d’arrivo previsto alle 8 di sera. Abbiamo già la prenotazione alberghiera, ci è servita per farci concedere il visto, ottimo hotel al centro, finalmente una destinazione semplice. Stavolta non dovrebbe esserci nessun problema. Dovrebbe …
Dopo poco più di un’ora arriviamo alla frontiera. Tutti cordiali e disponibili, ci chiedono i documenti e noi, preparatissimi, glieli mostriamo. Tutto sembra (sembra) andare per il meglio ma il disastro è dietro l’angolo. Una sventura difficile anche da immaginare o forse soltanto una sfiga incredibile. I nostri documenti sono OK, il nostro visto è di 8 giorni più lungo di quello che ci serve. Ma la macchina no. E per far sì che anche la macchina abbia la stessa durata del nostro visto bisogna lasciare un deposito. Abbiamo chiesto quanto e la risposta non ci è piaciuta: 4.800 dollari! Neanche unendo i nostri risparmi di una vita arriviamo a questa cifra. Per fortuna un’alternativa c’è. Possiamo ottenere un visto di transito per Bianchina, della durata di 72 ore, con il quale attraversare il paese e raggiungerne un altro, senza poter tornare indietro. Il nostro programma di tornare in Georgia per entrare in Russia è saltato.
È l’unica alternativa (a parte i 4.800 dollari) e non possiamo fare altro che accettare. Nel frattempo, sono le tre del pomeriggio. Il programma semplice semplice dell’inizio sta andando a frasi benedire. Comunque vada, entriamo nel nostro settimo stato, l’Azerbaigian, dopo aver pagato 52 dollari tra assicurazione e tassa statale. Strano, ma tutto con ricevuta. Siamo sulla strada buona, una strada larga e lunga. La velocità di crociera è di 90 km/h e il peggio sembra (sembra) essere passato. Neanche cinque chilometri e vediamo un flash. Sappiamo già cosa sta per succedere ma siamo tranquilli. Il limite di velocità non può essere inferiore alla nostra velocità. Due minuti dopo un posto di blocco; ci fanno scendere e senza dire nulla ci mostrano una foto con le nostre facce sorridenti. Il limite è di 50 km/h e noi andavamo a 95. Ecco, appunto! Chiediamo quanto dobbiamo pagare per la multa e ci dicono che si tratta di 250 manet, l’equivalente di 250 euro.
Abbiamo sorriso. Noi quei soldi non li abbiamo. Per tutta risposta, ci mostrano uno sportello bancomat all’interno della stazione. E noi, tranquilli, “Non li abbiamo neanche nella carta di credito”. Stavolta la risposta è stata meno accomodante: “Allora avete un grosso problema”. Non abbiamo molte alternative: o lasciamo qui la patente internazionale, cerchiamo i soldi, torniamo indietro, paghiamo e riprendiamo la patente oppure proviamo a trattare. La prima opzione non è percorribile per una serie di motivi: non possiamo tornare indietro e non vogliamo pagare la multa. E così, ha inizio la contrattazione. Un’ora e 25 minuti di conversazione in russo, senza neanche una parola in inglese, abbiamo inventato e fatto qualsiasi cosa ci sia venuta in mente: false chiamate al telefonino, ricerche senza fine negli zaini per dimostrare che non abbiamo soldi. Abbiamo fatto vedere loro i portafogli con banconote dei paesi già attraversati e con carte di credito scadute. A questo proposito, vi diamo un consiglio: quello è solo uno dei portafogli che abbiamo con noi, quello vuoto che ci serve per eventuali ladruncoli. Nella maggior parte dei casi, vedendolo si accontentano senza scavare oltre nello zaino e trovare quello “vero”. Ma torniamo alla contrattazione. Dopo un’ora e passa, alla fine hanno commesso il passo sbagliato: hanno cominciato ad abbassare il prezzo. Noi abbiamo capito che si poteva fare e dopo battute e risate ce la siamo cavata con strette di mano, qualche euro che avevamo in tasca e una bottiglia di ottimo vino Ungherese (per quest’ultima ci è veramente dispiaciuto). Comunque è andata, e siamo di nuovo in viaggio!
Passano cinquanta chilometri e la storia si ripete. Altro flash e altro posto di blocco. Scendiamo subito e gli diciamo che non abbiamo soldi né carte di credito. E che l’unica bottiglia di vino era già stata presa dai colleghi. Bastava chiamarli. E loro lo fanno. Dopo la telefonata, siamo di nuovi in pista. Al terzo posto di blocco non scendiamo neppure e risolviamo la situazione dal finestrino, che ormai resterà aperto fino al nostro arrivo dopo i problemi avuti nei giorni scorsi. Il nostro programma di viaggio è completamente saltato, si fa notte e fulmini e tuoni invadono il cielo. Un tremendo acquazzone si abbatte su noi e su Bianchina. La strada è impraticabile, non riusciamo neppure a vedere i bordi della strada ma forse è una fortuna. Guidare da queste parti è a pazzi. Andare fuoristrada significa ritrovarsi quasi in un altro stato, le macchine vengono contromano senza alcun problema, i TIR si infilano in ogni agolo. Una situazione paradossale. E i cartelli!? Ne abbiamo avvistato uno che diceva “280 km. per Baku” e dopo dieci minuti un altro che ne mostrava 310 per l’arrivo in città. Anche entrare a Baku non è stato semplice. L’uscita è introvabile, per non parlare dell’albergo, perso in una stradina. Non ci spieghiamo come si possa aprire un hotel in un posto introvabile. Ci facciamo forza, parcheggiamo e lo cerchiamo a piedi, ridendo per l’assurdità della giornata. Troviamo l’albergo e andiamo a dormire. Sono le 4 del mattino, siamo arrivati otto ore più tardi di quanto avevamo previsto. Ma domani ci aspetta la visita di Baku, Patrimonio dell’Umanità UNESCO.