Da Buenos Aires ai Quartieri Spagnoli: viaggio nei luoghi di Maradona

Nando Di Giovanni  | 20 Giu 2023

Coloro che possono vantare il suffisso -anta quando dichiarano la propria età, se da una parte possono essere colti dallo scoramento all’idea del tempo che vola, dall’altro potranno ben consolarsi pensando di aver avuto una gran bella fortuna: quella di aver visto con il pallone fra i piedi il calciatore più grande di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.

E poco importa che per molti, magari, non abbia giocato con la propria squadra del cuore o non abbia vestito la maglia azzurra della nostra Nazionale. Pazienza. È stato un prezzo da pagare ben volentieri. D’altronde, ammirare – in televisione o, per i più fortunati, dal vivo – colui che è stato in grado di creare un trait-d’union tra l’arte della giocoleria circense ed il calcio (che, tra parentesi, rimane sempre un gioco) non è da tutti i giorni.

Maradona, tra il divino e il mortale


Un Maradona sorridente, quando era al top della sua forma

E, anzi, purtroppo quei giorni son passati e la sua morte non ingiallisce certo i ricordi della sua gesta umane e divine. Diego è stato in grado di unire sacro e profano, dimostrando al mondo intero quanto basti poco per toccare il cielo con un dito in sua presenza. E, altrettanto, più amaramente, quanto possa essere fallace la vita terrena. E forse è proprio questa sua matrice a cavallo tra il divino e il mortale ad averlo reso così vicino, così amato. Il suo addio terreno non ha certo significato la fine del suo mito e, se possibile, l’ha accresciuto ancor di più. E i murales in giro per il mondo, in particolar modo a Napoli, la città che più l’ha amato, ne sono la vivida testimonianza

Da Buenos Aires alle falde del Vesuvio, passando per Barcellona. Maradona ha costruito ponti invisibili al tatto, ma solidi come non mai tra queste due città, unendo i ventricoli del suo cuore, un po’ Xeneize e un po’ Azzurro. Vogliamo per questo celebrarlo in maniera estemporanea, proponendovi un viaggio nei luoghi che più l’hanno visto brillare di una luce accecante, intensa. Forse come solo quella che è propria agli dei. Ecco, dunque, le vie di D10s.

Da Villa Fiorito alla Bombonera, l’epopea di Maradona in Argentina


Maradona entra sul campo della Bombonera

Il piccolo Diego aveva le idee chiare sin da piccolo: diventare un campione nel gioco del calcio e vincere la Coppa del Mondo. Sogni entrambi realizzati oltre le più rosee aspettative. E non è un caso se il Dio del calcio è nato e cresciuto nella povertà più assoluta, ben oltre l’indigenza. Quinto di otto figli, Maradona ha dato calci al pallone tra le baracche di Villa Fiorito, quella che all’epoca era a tutti gli effetti una bidonville. Nonostante tutto, il suo talento cristallino ha saputo farsi largo tra una coltre di indifferenza e miseria, esordendo nella massima divisione argentina a pochi giorni dal suo sedicesimo anno di età con la maglia dell’Argentinos Juniors, uno dei più nobili club della conurbazione di Buenos Aires. Ha vinto titoli e sfiorato la convocazione per il Mondiale del 1978, fino a vestire la maglia del suo amato Boca Juniors, la cui tana – La Bombonera – fa tremare i cuori dei tifosi e i polsi degli avversari. È lì che il mito di Maradona si è definitivamente celebrato, la sua fama ha superato gli oceani, urlando al mondo tutto il suo talento e tutta la sua voglia di sovvertire il modo di giocare uno sport che non riesce a stargli dietro.

Il Maradona triste di Barcellona


Diego Armando Maradona in posa al Camp Nou

Una splendida città sul mare, il cuore pulsante di un Paese che sta ricominciando a vivere dopo anni di dittatura. E un popolo che, almeno nelle premesse, è fatto della sua stessa pasta. Dopo il Mondiale spagnolo del 1982, Diego non disfa le valigie e rimane lì, in Spagna, per vestire la gloriosa maglia blaugrana del Barcellona, gli stessi colori che veste per il terzo anno di fila un altro fenomeno del calcio europeo: Bernd Schuster. Tuttavia, né l’atmosfera vibrante della Rambla, né le caleidoscopiche geometrie del Parc Güell sembrano dare la giusta pace a un ragazzo che si ritrova nel giro di pochissimo tempo emarginato dalla squadra. È ora di cambiare. È ora di “andare a casa”.

Vedi Napoli e…


Maradona icona culturale, sul profilo di un palazzo

Nessuno avrebbe mai pensato che quei vicoli avrebbero mai potuto tingersi con il tricolore. Lì, fra cardini e decumani, solo qualche anno prima si esultava per una salvezza raggiunta all’ultimo respiro, grazie all’abnegazione e all’amore per la piazza di un altro “ragazzo” di Buenos Aires. Quel Petisso Pesaola che ha indissolubilmente legato il suo nome alla città di Napoli. Chi l’avrebbe mai detto che Dio avrebbe mai vestito la maglia azzurra? Eppure quell’estate del 1984 accadde l’impensabile. Da quell’indimenticabile 5 luglio, il giorno della sua presentazione al grande pubblico, davanti ai 70.000 del San Paolo, Napoli non sarebbe stata più la stessa. Grazie a Diego, una città e il suo popolo sono riusciti ad affrancarsi da quell’ipocrita stigma che da sempre l’ha colpita, riscattandosi e dimostrando di poter essere allo stesso livello delle grandi. Se non oltre.

L’azzurro è stato il colore degli anni ’80: del cielo di Napoli a festa per celebrare il suo Diego, dei colori di una maglia che, ora, sì, davvero, era il simbolo della gioia sul campo. Di un sentimento che sgorga inarrestabile dal suo cuore più profondo: quello dei vicoli nel ventre della città, pennellata dal colore dei panni stesi al vento e inebriata dai sapori della sua cucina, quello delle urla e del fracasso dei Quartieri Spagnoli, delle mille storie dei personaggi di via Toledo e dell’abbraccio di Piazza del Plebiscito. E mentre il Vesuvio, irrequieto guardiano, la guarda colorarsi e vestirsi a festa, immaginiamo come Diego fosse lì, su una terrazza a guardare il mare e la sua gente, sorridendo e dicendo: «Cosa cavolo ho combinato!»

 

 

 

 

 

Nando Di Giovanni
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